martedì 30 settembre 2014

ADESSO BASTA | Comitato spontaneo genitori a difesa delle neuropsichiatrie infantili (npi)


Appello per interrogazione parlamentare urgente sullo stato delle neuropsichiatrie infantili (NPI) e dei servizi erogati

Si teme la chiusura definitiva della NPI di via Sabelli a Roma, il centro voluto da Giovanni Bollea nel lontano 1967. In una lettera aperta gli operatori denunciano i tagli, le riduzioni di personale (tutto il personale) che sembrano non volersi arrestare:

Non è la prima volta che ci rivolgiamo ai responsabili e dirigenti regionali ed aziendali, a politici, a giornali, opinione pubblica, e specialmente a tutti gli utenti e cittadini… Ogni volta abbiamo raccontato e dimostrato come stavano funzionando i nostri servizi sanitari e i nostri compiti formativi, e come si stesse riducendo, sia a livello di quantità che di qualità, l’offerta plurispecialistica nel campo neurologico, psichiatrico e neuroevolutivo per l’età evolutiva. 

Noi genitori qualunque non possiamo non rispondere a questo disperato appello, perché le npi soffrono ovunque, da nord a sud del nostro Paese. Carenze di personale e servizi lasciano i nostri figli senza terapie adeguate e noi genitori, senza sostegno. Siamo soli, sempre in pellegrinaggio alla ricerca di un Centro di Eccellenza, spesso troppo lontano da casa per poter iniziare un percorso riabilitativo.

Quello che si legge sui giornali appare sempre più come un bollettino di guerra. In via Sabelli si teme la chiusura ma si vive già il collasso. Collasso che dilaga per tutta Roma. Francesca Piperno psicologa, Flavia Capozzi neuropsichiatra, Gabriel Levi direttore dell’istituto di Neuropsichiatria Infantile Università la Sapienza, hanno recentemente denunciato lo sfascio dei servizi della ASL romana per pazienti con età compresa dai 0 ai 18 anni:

Circa 900 richieste in un anno, un’attesa non inferiore a 6 mesi dalla domanda alla prima valutazione, per arrivare al trattamento si dovrà aspettare da un minimo di 24 mesi ad oltre 36 mesi. Per cercare di ovviare a questo problema abbiamo utilizzato in ASL Rm E una Scheda Unica Aziendale per la Riabilitazione effettuata sia dai servizi pubblici che dal privato convenzionato, che permette di valutare la gravità, definire clinicamente la priorità, programmare gli interventi e ridurre i tempi di attesa per chi ha più bisogno.

Il giornalista, psichiatra e psicologo Ruggero Piperno, prosegue nel suo articolo:

La conferma di una condizione tragica arriva da Carla Patrizi, direttrice del “Centro Tangram” un centro privato convenzionato fra i più quotati:” I tempi d’attesa sono molto lunghi, attualmente sono di circa 3 anni.

I disturbi dell'età evolutiva necessitano di diagnosi precoci, una presa in carico e cura reali, spesso coinvolgendo più professionalità diverse: dal neuropsichiatra alla logopedista, dalle insegnanti ai genitori. La premessa fondamentale deve essere un atteggiamento razionale, culturalmente aperto e fiducioso nei confronti degli addetti ai lavori, degli studi epidemiologici fin qui condotti sui disturbi in età evolutiva (pochi, il Progetto PrISMA, Progetto Italiano Salute Mentale Adolescenti risale al 2004 e limitato ad una fascia d'età compresa tra i 10 e i 14 anni).

Nonostante la loro preoccupante frequenza, i disturbi mentali nei bambini e negli adolescenti sono sconosciuti ai più, spesso per il pregiudizio che siano esclusiva dell'età adulta. Ne ha parlato il professor Stefano Vicari nell'Aula Magna dell'Università di Torino il 25 settembre. Il titolo della conferenza del professor Vicari - I disturbi mentali nei bambini e negli adolescenti in Italia: un'emergenza psichiatrica? - non lascia molti dubbi: i bambini sono persone, esseri umani e come tali soggetti a le più disparate patologie, anche quelle psichiatriche.

Eppure le NPI italiane sono spesso abbandonate, il personale (se escludiamo i Centri di Eccellenza) non sempre formato. La formazione a volte assente e il silenzio sui disturbi psichiatrici e dell'apprendimento in età evolutiva, condannano questi bambini a convivere con un male che mina le relazioni sociali, le capacità di apprendimento, il loro diritto ad un'infanzia normale. Un bambino che soffre è un'intera famiglia che langue: nel dubbio e nei sensi di colpa, nella solitudine e nell'impotenza e frustrazione.

Un sondaggio di CompuGroupMedical per Il Sole-24 Ore Sanità è spietato. I disturbi specifici dell'apprendimento (DSA) sono conosciuti da appena il 50% di un campione di 866 medici che hanno partecipato all'indagine. Il che si traduce, per l'altra metà del campione che di fatto non «passa» il test, in una scarsa capacità diagnostica che rischia di fuorviare la presa in carico del disturbo o di intervenire in ritardo, con segnalazioni al ralenti ai servizi di neuropsichiatria infantile.

L'articolo del Sole 24 ore prosegue:

La conoscenze maggiori (dei medici consultati ndr) sono relative alle cause dei Dsa, correttamente individuate dalla quasi totalità dei Pediatri di libera scelta come meccanismi di ordine neurobiologico; un Medico di medicina generale su quattro ritiene invece che i Dsa abbiano un'origine psicogena, conseguenza di relazioni familiari anomale o di traumi psichici. Queste risposte sembrano rispecchiare la tradizionale concezione che i problemi dei bambini dipendono da quelli degli adulti e che il funzionamento cognitivo, in assenza di danni neurologici riscontrabili, sia determinato dagli agenti esterni piuttosto che dal funzionamento del sistema nervoso centrale. 

Non è poi passato molto tempo da Bettelheim e della sua Fortezza vuota. Intere generazioni di madri colpevolizzate per la loro presunta anaffettività, causa scatenante dell'autismo del figlio. Ancor oggi si tende a puntare l'indice contro i genitori di figli troppo distratti, vivaci, dislessici, alienati, muti. Genitori colpevoli, attraverso comportamenti (errati) ed educazione (troppo morbida, troppo dura, comunque sbagliata), di essere la causa principale dei disturbi del figlio.

Se la stampa riporta la chiusura e i tagli indiscriminati delle NPI, il Parlamento registra l'ignoranza di molti onorevoli sui disturbi dell'età evolutiva, sullo stato dell'arte delle strutture preposte a seguire i piccoli pazienti, sull'esistenza di famiglie provate psicologicamente e fisicamente dall'assenza di terapie e servizi di supporto alla famiglia.

L'interrogazione parlamentare dell'onorevole Baroni, è un esempio sconsolante del ritardo culturale del nostro paese nell'accettare che a volte lo sviluppo psico-cognitivo infantile non è sempre una meravigliosa sorte e progressiva.
Si è iniziato da poco a parlare di ADHD nel nostro Paese. Di disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività se ne parla troppo e male, il più delle volte definendolo un male immaginario, inventato dalle case farmaceutiche per vendere psicofarmaci ad un target fino a ieri ignorato. Spesso qualcuno si cimenta in studi sociologici e l'ADHD diventa lo specchio di una società troppo di corsa e individualista che inevitabilmente deforma e piega l'infanzia (lenta e giocosa) ai suoi ritmi frenetici (Roush Hour, di Stella Savino, film del 2012).

L'interrogazione dell'onorevole pentastellato offende tutti gli specialisti che hanno in cura bambini con disturbo ADHD, i familiari che faticosamente cercano il centro accreditato più vicino (e a volte più vicino vuol dire lasciare Catania per raggiungere lo Stella Maris di Pisa, o Milano per la NPI di San Donà di Piave) e questi bambini che possono vivere un'infanzia fatta di isolamento, disastri scolastici, perdita di autostima, aggressività o indolenza.

Dice l'onorevole Baroni:
un fattore preoccupante in cui sono ricaduti diversi principi attivi e farmaci in essi contenuti per la terapia dell'ADHD, Attention deficit hyperactivity disorder (sindrome da deficit dell'attenzione e iperattività) riguarda la strategia/divulgazione pubblicitaria (marketing) e vendita di diversi prodotti farmaceutici, fra cui il Ritalin, attraverso la mercificazione della malattia o disease-mongering, ossia, un'operazione di marketing, finalizzata all'introduzione di un protocollo terapeutico o di un farmaco già pronto per l'immissione nel mercato, attraverso una campagna pubblicitaria finalizzata all'introduzione di quadri clinici al di fuori della seduta medica, per indurre il consumatore alla ricerca di un rimedio per presunte malattie, allo scopo di generare nuovi mercati di potenziali pazienti; 

Mentre fisioterapisti, logopedisti, neuropsichiatri, psicologi, lavorano malgrado i contratti co.co.co e part time, il personale sotto organico e le strutture fatiscenti, per riabilitare (anche farmacologicamente e anche e non solo, con il Ritalin) e dare una speranza in più a bambini incapaci, nei casi di iperattività/attenzione più gravi, di avere un amico, di seguire una lezione a scuola, di apprendere, in Parlamento si accusano gli specialisti di essersi venduti al miglior offerente (la Novartis in questo caso) diagnosticando un disturbo inesistente. Si fa veramente fatica a comprendere l'allarmismo di Baroni. L'onorevole volge lo sguardo ad Ovest dove in America la diagnosi di ADHD riguarderebbe il 10% della popolazione sotto i 18 anni. Ma da noi colpisce in modo grave almeno l' l % della popolazione pediatrica. Così Paolo Curatolo su il Sole 24 Ore (ADHD, sindrome sottotrattata (1). Che prosegue:

Sono pochissimi, però, quelli che riescono ad ottenere una diagnosi corretta, unico strumento che permette loro di accedere agli strumenti dell'integrazione scolastica e a una corretta terapia.

Sull'uso di psicofarmaci Curatolo precisa:

la prescrizione della terapia farmacologica in Italia è ancora molto bassa, anche in rapporto ad altri Paesi europei. Oggi nei casi gravi di Adhd solo 1 bambino su 20 è trattato dal punto di vista farmacologico. Stando alle correnti linee guida e alle evidenze scientifiche ciò significa che agli altri 19 bambini non sono fornite le cure necessarie a favorire il successo scolastico e prevenire il rischio psicopatologico.

L'interesse di Baroni riguardo questi 19 bambini a cui sono negati anche diritti costituzionali, è pressoché nullo.
Alla fine della sua interrogazione parlamentare, l'onorevole è chiarissimo:

se intenda intervenire (il ministro Lorenzin ndr) affinché si controlli, ed eventualmente si vieti la somministrazione del principio attivo dato ai bambini affetti da ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder);

Si chiede in sede istituzionale, probabilmente la più alta, di vietare un farmaco sulla base di supposizioni e di complotti tutti da dimostrare.
In Parlamento si nega l'esistenza di un disturbo, si irride alla professionalità dei tanti sanitari impegnati sul fronte pediatrico, si minimizza il disagio profondo dei bambini e delle loro famiglie. 
Un oltraggio che sfuma quasi nel comico se pensiamo al fantomatico giro d'affari della Novartis per un farmaco, il Ritalin, il cui brevetto è scaduto da decenni: 30 compresse di metilfenidato costano al pubblico 5,96€, una confezione di Aspirina da 20 compresse 6,90€.

L'abuso di FANS in Italia è noto anche in presenza di dolore cronico oncologico, quando l'utilizzo di oppiacei sarebbe più efficace. Eppure nessuno si sognerebbe di negare l'esistenza del dolore e di rendere difficile, se non impossibile, l'acquisto di aspirine perché se ne farebbe abuso e/o per i lauti profitti delle Case Farmaceutiche grazie all'acido acetil-salicilico.

Di più. Baroni oggi e l'onorevole Bocciardo ieri, riportano come voce degna di essere ascoltata quella di Luca Poma, portavoce del marchio registrato “Giù le mani dai bambini”, onlus nata nel 2004 con lo scopo di vigilare sulla prescrizione di farmaci psicotropi in età pediatrica.

Il coordinatore della Campagna (e amico di Luca Poma) è Luca “Yuri” Toselli. Poma e Toselli sono due ex scientologist di fama e la posizione della Chiesa di Ron Hubbard riguardo la psichiatria è assai nota.
L'intervento di Baroni è dunque lesivo della dignità dei medici, dei piccoli pazienti e dei loro familiari che ogni giorno entrano nelle neuropsichiatrie locali.
È lesivo dello spirito laico e liberale della nostra Costituzione.
Ed è pericoloso per chi un domani dovrà accedere a queste preziose strutture territoriali ed ospedaliere.

Non può dunque passare sotto silenzio e come genitori abbiamo il dovere di difendere i nostri figli e le neuropsichiatrie infantili.

Se si deve “abbracciare la scriteriata tesi che non esistono disagi dell’infanzia o problemi comportamentali degni della massima attenzione” e non “bisogna demonizzare in modo meramente ideologico gli screening preventivi e l’uso degli psicofarmaci”, allora è importante utilizzare bene i dati epidemiologici e clinici.

Occorre, infatti, definire meglio dei disturbi che sono reali e che in una proporzione significativa di casi traggono beneficio da una medicalizzazione. L’alternativa a tale soluzione sarebbe sottoporre a trattamento obbligatorio ogni “adulto che non vuole o non può” ascoltare un bambino, ma in questo caso, chi avrebbe l’incarico di stabilire i criteri diagnostici per definire “patogeno” un rapporto fra l’adulto e il bambino?

Sarebbe bello vivere nel migliore dei mondi possibili, tuttavia la realtà è un’altra. [...] i disturbi comportamentali sono sindromi complesse e non si possono ricondurre a un agente infettivo, a un marcatore genetico o a una lesione specifica. Quindi si deve procedere con la dovuta cautela, ma usando programmaticamente tutti i dati clinici che dimostrano i benefici che numerosi bambini traggono da un trattamento farmacologico di disagi gravi. Visto che i genitori non possono ancora essere progettati in laboratorio. 
Gilberto Corbellini
Agenda Coscioni – n° 11 – pag. 22 “Lettori dal web” – novembre 2007.